New Tardini, indietro non si torna (ma neppure si avanza…)

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(di Gabriele Majo, direttore responsabile di StadioTardini.it) – E’ stata una settimana, la scorsa, per quanto riguarda i miei articoli su StadioTardini.it, monotematica, visto che non mi sono discostato dalla questione (non banale) del rifacimento dell’Ennio. Temporibus illis il dibattito sui temi caldi affrontati su queste colonne si snodava nell’apposito spazio commenti in calce ai post, oggigiorno, invece, solo una piccola minoranza dei lettori ne usufruisce (purtroppo), preferendo contattare direttamente l’autore, magari dopo aver fatto accesso al testo cliccando sul link pervenuto su WhatsApp o trovando il contenuto suggerito sul proprio smartphone da Discovery (eh sì, modestia a parte siamo bene indicizzati…).

Ebbene, senza voler violare la privacy di alcuno – in fin dei conti si tratta di conversazioni private in libertà – prendo spunto dalle osservazioni ricevute, diverse volte anche con spunti critici rispetto alla mia verità putativa, per offrire ai lettori ulteriori punti di vista, sia pure con la salvaguardia dell’anonimato dei variegati estensori.

Quando ho affrontato la Questione Economico-Finanziaria (parte seconda), mi sono abbeverato alla fonte dell’Osservatorio Stadio Parma, cercando di renderla il più potabile possibile, ossia sfrondando i troppi aspetti, a mio avviso, ideologici o partigiani proposti (ad esempio l’avversione per la finanza di progetto, alert speso in continuazione per avvertire che i rischi dell’impresa non sono del solo Krause, ma della intera comunità. LOsservatorio, tra l’altro, affermava: “Esistono soluzioni diverse dal project financing, che comportano molti meno rischi per la pubblica amministrazione. Perché non sono state considerate? Come mai i nostri amministratori non hanno optato per una più semplice e sicura cessione del diritto di superficie a tempo determinato? Perché Torino, Udine, Frosinone e Bergamo, per i nuovi stadi di casa, hanno scelto soluzioni diverse dal PPP in project financing? Sarà solo un caso che le amministrazioni comunali di Torino (stadio Allianz), Udine (stadio Bluenergy) e Frosinone (stadio Benito Stirpe) abbiano optato per la semplice cessione del diritto di superficie, o che Bergamo (stadio Gewiss) abbia scelto addirittura la vendita del bene pubblico stadio, sottraendosi così dal doversi fare carico di eventuali rischi e oneri connessi alla costruzione, gestione, conduzione e manutenzione dei rispettivi impianti sportivi, che in tutti e quattro i casi, qualunque cosa succeda, rimangono esclusivamente a carico del privato?”

Una persona informata sui fatti, mi ha così chiarito le idee: “La Legge Stadi ha una struttura simile al project financing, perché prevede costruzione e gestione dello stadio. In parole semplici, si tratta di un intervento di riqualificazione che il Comune vuole fare ma non ha le risorse, allora arriva in soccorso un privato che, in cambio di una concessione più o meno lunga (rientro e guadagno dall’investimento), si sostituisce al pubblico (come succede abitualmente per autostrade o altre attività similari): pertanto, si crea una partnership pubblico-privato e come, afferma giustamente l’Osservatorio, ognuno si porta a casa eventuali rischi che sono riassunti e definiti dalla matrice del rischio (basta leggerla), che però, normalmente, e anche in questo caso, lascia l’onere di un eventuale ribilanciamento economico al privato (con rischio quasi zero per il pubblico). Gli esempi addotti di Juventus ed Udine sono erronei, perché sono pre Legge Stadi. In effetti vendendo il bene, come avvenuto a Bergamo, ci sono zero rischi e si fa cassa e con i milioni incassati si possono fare interventi più utili per la collettività…”. 

 

Come sappiamo, uno dei temi caldi che la politica è chiamata ad affrontare (quando, finalmente, i preannunciati, per maggio, consigli comunali avranno luogo, penso dopo la tregua balneare, ma chissà se opportunamente pungolati, come stiamo cercando di fare, gli amministratori non si muovano prima, ma ne dubito fortemente), al di là della variante urbanistica (una passeggiata di salute) sarà la durata della concessione. Anche su questo ci tengo ad allargare un prezioso chiarimento pervenuto: “Nel financial project (ed era così anche la vecchia legge stadi) la durata del diritto di superficie (diritto reale di godimento) e anche la concessione (non diritto reale) può avere una durata massima legata al raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario del progetto. Ma per la nuova legge stadi, il legislatore ha previsto, nel caso che il proponente sia direttamente un club sportivo, di poter chiedere un diritto di superficie, svincolato da parametri, preferibilmente di 99 anni (a costo zero) o ancora meglio la vendita del bene (sempre a €0)… Il legislatore, insomma, ha voluto inserire un principio fondamentale che è quello che mira, tramite la Legge Stadi, alla capitalizzazione delle società sportive. Pensa la lungimiranza di Torino ed Udine: hanno anticipato questo tema di tanti anni, concedendo diritti di superficie di 99 anni…”.

Ecco perché, nel braccio di ferro (al di là che le interlocuzioni siano sempre continue, costanti e in un clima di grande collaborazione) i frontmen del sodalizio Crociato non intendono indietreggiare di un centimetro dalla richiesta iniziale, mentre la maggioranza consigliare avrà il suo daffare nel fronteggiare la fronda interna di chi vuole, comunque, ridurre le annate, per assecondare quella parte del proprio elettorato contrario alla grande opera. Ne ho parlato nel pezzo “La politica (ora, rispetto a tre mesi fa quando faceva rombare i motori) non ha più fretta di scendere in campo”, con esplicito riferimento alle spaccature interne a chi governa la città, per due volte salvato dalle minoranze, che non è detto intendano replicare per il Tardini. C’è chi ha così obiettato alla mia analisi: “La politica è scesa in campo anche troppo presto e per dire avventatamente di sì ad un progetto che i tecnici da sempre giudicano folle e irrealizzabile. Dovete capirlo, prima o poi. La politica ha già detto tutti i sì possibili, ma non ha fatto i conti con i dati oggettivi che si superano solo se la politica non se ne frega dell’interesse collettivo”.

Io ho cercato di esplicitare meglio il mio punto di vista: “A marzo volevano chiudere la partita a maggio: ora sono pieni di crepe interne ed hanno paura ad affrontare la questione. Poi, che prima avessero concesso tutto acriticamente, lo condivido” e spesso l’ho pure scritto pubblicamente. Al che il mio interlocutore ha chiosato: “Non hanno il coraggio di ammettere che avevano troppo sottovalutato i problemi urbanistici e ambientali. I tecnici non si assumono la responsabilità di firmare per poi restare col cerino in mano come con il Mall. Quando una cosa è fuori scala e incompatibile si può cercare di forzare ma fino a un certo punto”.

Insomma, la inequivocabile situazione di stallo, (il passaggio politico atteso per maggio non c’è stato) ha molteplici possibilità di lettura, non ultimo il muro di gomma eretto dal club a proposito delle richieste (dalla Conferenza di Servizi) di alternative progettuali e localizzative, che pare continuino a restare lettera morta (“Un dialogo tra sordi”, abbiamo titolato noi) nelle documentazioni fatte arrivare ai tecnici che continuano a giudicarle insufficienti (e sono loro che mettono la firma, con responsabilità personali). Ma, le parti in causa, si premurano di farmi sapere, sia pure informalmente, che non c’è alcuno stallo: gli uffici comunali e tutte gli enti interessati stanno lavorando con il Parma Calcio per definire tutti gli aspetti finali… Le parti sarebbero ancora lavorando per una definizione maggiore che supera il progetto definitivo, previsto da norma, per dare “risposte” che sono da progetto esecutivo.

Insomma, indietro non si torna. La ventilata possibilità di revisione (alternativa progettuale?) con un ritorno al progetto a stralci, evidentemente non è contemplata, se, a marce forzate (in dova?) si sta procedendo a testa bassa sull’attuale progetto, incuranti di tutte le problematiche che si porta dietro, una su tutte quella dell’esodo, per i (minimo) 27 mesi, dei tifosi lontani dal cantiere dell’Ennio, molto più facilmente fuori provincia, benché il managing director corporate Luca Martines spergiuri che non si andrà a Piacenza e si farà di tutto per restare sul nostro territorio.

Peccato, però, che sia lui che il suo alter ego “pubblico” Bosi, tirino a mano le tante problematiche che, a loro dire, ci sarebbero sul temporary, il cui percorso autorizzativo, continuiamo a sottolinearlo, è decisamente più rapido rispetto a quello per uno stadio in centro città con tutte le complicanze del caso. E, in ogni caso, vale il ragionamento che abbiamo fatto per l’uovo e la gallina: il provvisorio è figlio del definitivo, se non ottieni il via libera per il Tardini, non puoi cantierare il suo sostituto (ciò non toglie, però, che al momento fatidico ci si debba far trovare pronti, mentre le interlocuzioni, in questo caso non mi sembrano altrettanto continue, costanti e in un clima di grande collaborazione come col Comune di Parma. Un po’ con la scusa delle elezioni, un po’ non saprei bene perché, a parte qualche grana nel frattempo emersa, tipo il GSE per Noceto, però diversi dei sindaci del contest non hanno più avuto contatti con la società, ed il temporaneo, stando all’ultima dichiarazione dell’assessore Bosi a Parma Today, “oggi è al centro dei loro pensieri e che inevitabilmente condiziona anche le scelte sul Tardini”.

La mia netta sensazione è che i protagonisti si siano un po’ incartati, restando fermi sulle proprie posizioni: certo, riportare indietro il calendario di quattro anni per riconsiderare l’ipotesi a stralci (era nel progetto di Nuovo Inizio, presentato a settembre 2020, pochi giorni prima della cessione a Kyle Krause, che lo avrebbe ritirato a dicembre 2020, dicunt senza neppure guardarlo) capisco possa essere antipatica, ma sarebbe proprio quella (anche con un altro progetto differente, del resto la problematica dei parcheggi era una bella zavorra anche per quello dei Magnifici 7, benché avessero la consapevolezza di dover limitare a poche giornate a fine ed inizio campionato la migrazione dei tifosi) che consentirebbe di ridurre al minimo le problematiche, probabilmente mettendo d’accordo un po’ tutti gli stakeholders, che non si erano messi così di traverso per una soluzione meno impattante e divisiva dell’attuale.

E veniamo ora ad un altro capitolo che ha suscitato non poche discussioni, ossia come sia lievitato il PEF dal preliminare al definitivo, cioè l’articolessa di ieri. “Pensi davvero che Deloitte, PWC (asseveratore PEF), ICS e Nielsen siano degli emeriti incompetenti? Loro verificano che tutte le voci di costo e ricavi contenute nel PEF siano corrette o meglio “ragionevoli” questo è il termine tecnico. E le verifiche che fanno sono “spietate”: non gli basta che la fonte sia il Parma Calcio, ci vuole sempre una fonte autorevole a sostegno (vedi Deloitte, Nielsen, Legend o ics per ricavi)… Pertanto, ogni numero è stato verificato e sostenuto da dati di mercato inconfutabili o quanto meno giudicati “ragionevoli” nel quadro economico di riferimento italiano ed estero a tendere”.

Senza volermi permettere di discutere i dottoroni degli organismi sopra citati, da semplice osservatore attento delle vicende del mondo del pallone, mi permetto di eccepire come sia evidentemente fuori mercato sperare che il Parma Calcio, dal nome del nuovo Ennio, possa ricavare la bellezza di 3.500.000 euro/stagione, ossia 5 volte di più di quanto l’Atalanta ricavi dal Gewiss Stadium. Ma anche questa mia eccezione mi è stata ampiamente contestata da un uomo d’affari, capace, nel recente passato, di fare i miracoli con la pubblicità: a suo dire sarebbero i commerciali orobici a non essere all’altezza: “Guarda che è più in linea la previsione del Parma che non quella dell’Atalanta, probabilmente hanno venditori incapaci, sai anche tu che questo fa la differenza”.

Obiettivamente mi sembra abbastanza ingeneroso nei confronti di una società modello (cui lo stesso Parma non nasconde di voler puntare), vieppiù in questa epoca di crisi assortite durante la quale diventa difficile far aprire il portafoglio, anche se si vanta un blasone come quello del Parma: “3,5 milioni ci stanno assolutamente, ovviamente se ti affidi all’agenzia internazionale specializzata giusta, perché non stiamo, comunque, parlando della Pizza & Fichi, ma di una società con una certa storia e, soprattutto, non ti dimenticare, anche con un nome, che ormai è un vero e proprio brand, noto in tutto il mondo (che poi, secondo me, è il vero motivo per cui KK ha deciso di fare business qui). Quindi servono, indubbiamente, capacità, ma ci si può arrivare…”

Notoriamente non sono uno scommettitore, ma sono arrivato a sfidare uno dei miei interlocutori con la promessa di pagargli una boccia di sciampo di quello buono a sua scelta qualora il Parma Calcio ricavi dal naming una cifra uguale o superiore ai 3.500.000 euro/anno, ma mi aspetto che lui faccia altrettanto con me, qualora la cifra sia inferiore: “Le valutazioni mie o tue – mi ha replicato –anche se forse più veritiere di quelle di  questi soggetti che sono i maggiori player mondiali, non valgono una benedetta mazza, come diresti tu, o meglio non servono alle banche 🏦: un’operazione del genere non sarebbe “bancabile”, ovvero, non ci sarebbe nessuna banca pronta a finanziare il 40/50% del costo del progetto (non due lire) senza la loro firma. Mi rendo conto che sia più “cliccabile” la narrativa che KK e qualche fidato manager decidano, a loro piacere, i numeri del PEF, ma non è così”. Se ci pare… Gabriele Majo (direttore responsabile di StadioTardini.it)

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